Quando acquistiamo aglio confezionato al supermercato, raramente ci soffermiamo su un dettaglio che potrebbe farci cambiare prospettiva: stiamo pagando per il peso effettivo di ciò che utilizzeremo in cucina o per qualcosa di molto diverso? La questione non è banale come potrebbe sembrare, e nasconde dinamiche commerciali che meritano la nostra attenzione di consumatori consapevoli.
Il peso che non finisce nel piatto
L’aglio rappresenta un caso emblematico di come le confezioni preimballate possano ingannare la nostra percezione del valore reale. La grammatura riportata sull’etichetta include infatti l’intero bulbo così come viene confezionato: tuniche esterne secche e cartacee, radici, strati protettivi e tutto ciò che normalmente si elimina prima di utilizzare gli spicchi in cucina.
Nei prodotti ortofrutticoli a bulbo come aglio e cipolla, la parte non commestibile può costituire una quota non trascurabile del peso. Le linee guida di conservazione e scelta consigliano proprio di valutare bulbi compatti e con buccia secca ma non eccessivamente voluminosa, proprio perché una parte verrà inevitabilmente scartata.
Per rendere l’idea in termini pratici: su una confezione da 250 grammi, una parte del peso sarà assorbita da tuniche secche e radici, e solo il resto sarà costituito dagli spicchi effettivamente utilizzabili. Dati di manuali merceologici e tabelle professionali di resa in cucina indicano che per l’aglio la resa commestibile è mediamente compresa fra il 70% e l’80% del peso del bulbo, a seconda della varietà e dello stato di secchezza. Questo significa che una quota nell’ordine del 20-30% può essere effettivamente eliminata come scarto, soprattutto nei bulbi molto secchi e con tuniche abbondanti.
Se consideriamo che l’aglio viene venduto a prezzi variabili ma non trascurabili, specialmente nelle versioni biologiche o di origine tutelata come l’Aglio Bianco Polesano DOP o l’Aglio di Voghiera DOP, spesso preconfezionati, la quota pagata per parti non commestibili assume un rilievo economico concreto per il consumatore.
Cosa dice la normativa sulla vendita al dettaglio
La legislazione europea sui prodotti preimballati stabilisce che il peso indicato in etichetta debba corrispondere alla quantità netta del prodotto al momento della vendita. Nel caso degli ortofrutticoli freschi venduti a pezzi o a rete, però, il termine “prodotto” comprende anche parti naturalmente non commestibili e strutturalmente connesse come bucce, torsoli e gusci, che non vengono sottratte dal peso dichiarato.
Le tuniche esterne dell’aglio svolgono funzioni protettive durante la conservazione e il trasporto, contribuendo a preservare il bulbo da muffe, disidratazione e danni meccanici. Dal punto di vista merceologico e normativo, esse fanno parte del prodotto tal quale al momento della vendita. Dal punto di vista del consumatore, però, rappresentano un elemento che verrà quasi sempre scartato e che non ha un utilizzo culinario diretto.
A differenza di altri prodotti ortofrutticoli in cui lo scarto è minimo o immediatamente visibile, nel caso dell’aglio l’involucro esterno può rendere meno evidente il numero e la dimensione degli spicchi interni. Finché non si apre il bulbo, non è possibile valutare con precisione quanta parte del peso sia effettivamente costituita dalla parte commestibile.
L’asimmetria informativa che può penalizzare il consumatore
Quando acquistiamo aglio sfuso, possiamo usare vista e tatto per scegliere bulbi più compatti, con tuniche meno eccessive e senza segni di ammuffimento o germogliatura. Nel caso delle confezioni preimballate, questa possibilità è più limitata: la rete o il film plastico riducono la possibilità di ispezionare le singole teste e di confrontarne la compattezza.

Si crea così una forma di asimmetria informativa: chi confeziona e commercializza l’aglio può conoscere, tramite controlli interni, la resa media in prodotto commestibile dei lotti utilizzati, mentre il consumatore si basa solo sul peso dichiarato e su una valutazione visiva parziale. Questo può incidere sulle scelte di acquisto e rendere meno immediato il confronto tra aglio sfuso e aglio preconfezionato, soprattutto quando il prezzo al chilo è esposto solo per la confezione.
Ne deriva anche un vantaggio competitivo potenziale per le confezioni preimballate rispetto allo sfuso: nel caso dello sfuso il consumatore può selezionare i bulbi più compatti e meno scartosi, mentre nelle confezioni non ha la stessa possibilità di scelta puntuale e paga l’intero lotto allo stesso prezzo al chilo.
Come ridurre l’impatto economico della quota di scarto
Esistono alcuni accorgimenti utili per limitare l’effetto della parte non commestibile sul costo reale:
- Preferire l’aglio sfuso quando possibile, scegliendo bulbi sodi, pesanti in rapporto alle dimensioni e con tuniche secche ma non eccessivamente gonfie
- Confrontare sempre il prezzo al chilogrammo tra sfuso e confezionato e considerare che la resa commestibile di un bulbo intero di aglio si aggira mediamente intorno al 70-80%, con una quota di scarto che può arrivare a circa il 20-30% nei bulbi più secchi o con molte tuniche
- Conservare correttamente l’aglio, in luogo fresco, asciutto, aerato e al riparo dalla luce, evitando il frigorifero e i sacchetti di plastica che favoriscono muffe e germogliatura. Una buona conservazione riduce ulteriori perdite di peso e scarti per deterioramento
- Segnalare alle associazioni dei consumatori eventuali casi in cui il peso dichiarato in etichetta non corrisponde al peso effettivo del contenuto al momento dell’acquisto, fornendo scontrino, etichetta e, se possibile, una pesata documentata
Una questione di trasparenza e correttezza
La soluzione più trasparente, discussa in ambito di tutela del consumatore per varie categorie di alimenti, sarebbe indicare in etichetta non solo il peso netto del prodotto tal quale, ma anche informazioni che aiutino a valutare la parte effettivamente commestibile, come una resa media o indicazioni standardizzate di scarto per le principali categorie di ortaggi. In alcuni Paesi e in alcune filiere sono già state avviate discussioni sull’opportunità di fornire rese indicative per prodotti con grande scarto strutturale, come carciofi, frutta secca in guscio e alcuni tipi di cavoli.
La trasparenza commerciale è uno strumento centrale per permettere scelte d’acquisto consapevoli. L’aglio non è l’unico prodotto che presenta una quota strutturale di scarto: pensiamo ai carciofi, alle noci in guscio, ad alcune insalate con grosse parti basali da eliminare. Anche per questi prodotti le tabelle di resa usate in ristorazione e industria alimentare mostrano percentuali di scarto significative, che incidono sul costo effettivo per chilogrammo di parte commestibile.
Coltivare un atteggiamento critico verso le informazioni in etichetta e comprendere le dinamiche tra peso dichiarato, parte commestibile e scarto contribuisce a una spesa più consapevole. I diritti economici del consumatore passano anche da questi aspetti apparentemente minori, che nel tempo e su molti prodotti possono tradursi in differenze rilevanti tra quanto paghiamo e quanto effettivamente utilizziamo.
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